Uno sguardo da vicino alla normativa italiana sui semi di cannabis
Nel nostro Paese il tema ‘cannabis’ è un tema estremamente controverso, specialmente a livello normativo. Fino a questo momento, il legislatore non è ancora riuscito a delineare un panorama ben definito e chiaro e le leggi in materia risultano piuttosto confuse e incomplete.
Non tutti sanno che questo vale anche per le semenze di questa pianta.
Per quanto da una parte la legge permetta a chiunque di comprare semi femminizzati e altri prodotti di questo genere, infatti, in determinati casi la vendita può configurarsi come un illecito.
Nel seguente articolo spiegheremo in che modo sono disciplinati i semi di marijuana dalla normativa italiana. Ma prima, partiamo con una rapida panoramica sullo status legale della cannabis in generale.
Queste le normative che disciplinano la cannabis in Italia
Sono due le leggi che regolano la cannabis nel nostro Paese.
Da una parte abbiamo il Testo Unico Stupefacenti, noto anche come DPR 309/90, che indica tutte quelle sostanze che, in quanto in possesso di proprietà droganti, sono illecite. Tra queste è stata inserita anche la cannabis. Pertanto, la coltivazione, la compravendita e il consumo sono sempre severamente vietate.
Dall’altra, però, abbiamo la legge n. 242 del 2016, quella che ha dato il via al fenomeno della canapa light. Secondo questa seconda norma, emanata allo scopo di promuovere la filiera agro-industriale della canapa, la coltivazione delle varietà di cannabis inserite in un elenco appositamente compilato dalle istituzioni europee e con una concentrazione di THC inferiore allo 0,6% è lecita.
Inoltre, è completamente libero anche il commercio di prodotti ottenuti a partire dalle piante sopracitate, come tutti quelli a base di cannabidiolo, un cannabinoide che, al contrario del THC, non possiede proprietà psicotrope.
Spesso si sente parlare di una soglia diversa da quella che abbiamo indicato, ovvero lo 0,2%. Tuttavia, quest’ultimo limite è il massimo quantitativo di THC che le piante di canapa devono contenere per permettere ai coltivatori di accedere alle relative misure di sostegno introdotte dall’Unione Europea.
Concentrazione di THC superiore allo 0,6%: cosa rischiano i coltivatori?
Come abbiamo visto, ci sono dei limiti ben precisi relativamente al quantitativo massimo di THC che può contenere una pianta di cannabis per rientrare nel dettato della legge 242/2016.
Ma cosa può accadere se si superano questi limiti? I coltivatori possono rischiare conseguenze dal punto di vista legale?
La risposta è: dipende. La discriminante è l’effettivo utilizzo di sementi certificate acquistate seguendo le procedure dettate dalla legge.
Se un agricoltore può dimostrare di aver rispettato questi obblighi, allora non corre alcun rischio anche se viene rilevato che ha coltivato piante di cannabis con una concentrazione di tetraidrocannabinolo superiore allo 0,6%. Tuttavia, le piante in questione vengono solitamente requisite e distrutte dalle autorità che hanno notificato l’anomalia.
Viceversa, se l’agricoltore non può dimostrare di aver utilizzato sementi certificate, allora la situazione può complicarsi notevolmente e c’è la possibilità che si configuri il reato di coltivazione di sostanze stupefacenti.
Semi di cannabis: ad oggi possono essere acquistati solo a fini collezionistici
Ora, in base a quanto scritto fino a questo momento, si potrebbe facilmente ipotizzare che il commercio di semi di marijuana, essendo questi prodotti privi di THC, sia sempre lecito. Il problema è che si tratta di articoli che potenzialmente possono dar vita a piante che vanno ben oltre i limiti di tetraidrocannabinolo consentiti dalla legge.
Per questo motivo, le autorità hanno deciso di intervenire distinguendo in maniera netta le casistiche in base alla destinazione d’uso: in particolare, la compravendita di semi di cannabis al fine di coltivarli è severamente proibita in ogni caso. L’unico uso consentito è quello collezionistico.
Almeno, per il momento.
DDL cannabis: sarà possibile coltivare marijuana per uso personale?
Dicevamo ‘per il momento’ perché l’anno scorso è approdato in Parlamento un disegno di legge che mira a modificare la normativa italiana sulla cannabis, in particolare proponendo la legalizzazione della coltivazione di marijuana per uso personale e in ambito domestico, per un massimo di 4 piantine femmina.
In aggiunta, la proposta prevede anche alcune modifiche alle pene nei confronti dei reati di spaccio, riducendo quelle contro i reati leggeri e, di contro, aumentando quelle comminate nelle casistiche più gravi.
Si tratta del ddl Magi-Licatini, redatto già nel 2019, che fino a questo momento ha superato l’esame della Commissione Giustizia della Camera dei Deputati, ma si trova attualmente bloccata per una serie di ragioni, tra le quali il nuovo corso politico chiaramente ostile a un’eventuale apertura nei confronti di una pianta così controversa come la cannabis.
Non resta che attendere e scoprire nei prossimi anni quale sarà il destino di questa proposta.
In conclusione
In questo articolo abbiamo illustrato quelli che sono i particolari salienti della legislazione italiana sulla cannabis, in particolar modo in riferimento alle semenze di questa pianta.
L’assenza di THC nei semi di marijuana, a rigor di logica, dovrebbe essere determinante per escluderli dal novero delle sostanze stupefacenti e per consentirne liberamente la vendita e l’acquisto. Ma, come abbiamo visto, il problema principale dei semi è che possono dare origine a una pianta ad alto contenuto di tetraidrocannabinolo. Per questo motivo, la compravendita dei semi di cannabis, acquistabili presso numerosi rivenditori specializzati come l’italianissimo Sensoryseeds, è consentita solo a scopo collezionistico.
Ultima modifica: